giovedì 28 ottobre 2010

Gli esami prima della notte

 Marina Boscaino
Quella palestra di democrazia e di sano senso della cittadinanza che sono certi quotidiani di destra ci indica episodi su cui sarebbe importante una riflessione accurata. Su “Libero” di qualche settimana fa (23 settembre 2010) uno degli esuberanti lettori, pieni di energie e di pedestri ricette “fai da te” che la deriva culurale che viviamo ha oltremodo ringalluzzito, si rivolgeva per lettera a Mario Giordano, proponendo un mix di violazioni costituzionali da infliggere ai docenti italiani come punizione nei confronti della loro presunta impreparazione. Come si può osservare la lungimiranza dell'analisi includeva solo sbrigative soluzioni sommarie e quella vena di disprezzo saccente che chi ci governa sta rafforzando nella percezione collettiva della nostra professione e delle nostre competenze.

La scuola non è un ufficio di collocamento...
L’altro giorno leggendo l’articolo in merito allo sciopero dei precari a Messina è riaffiorato nella mia mente un dubbio che voglio condividere con lei. Questi precari che esercitano il loro sacrosanto diritto allo sciopero sono all’altezza del loro compito che con tanta energia rivendicano? Vale a dire, sono capaci di insegnare alle nuove generazioni? Non credo. Pertanto, a mio modesto parere, una possibile soluzione potrebbe essere quella di far sostenere, ai 220 mila precari, un esame di cultura generale sufficiente a scremare più del 50% dei candidati. Ai restanti assegnerei le cattedre dei professori vicini alla pensione, ma soprattutto toglierei la cattedra a coloro che svolgono, oltre alla professione di insegnante, quella di libero professionista. Cosa vuole, del resto Longanesi diceva: «Tutto ciò che non so l’ho imparato a scuola», ovviamente scuola con la c non con la q.
NICOLA CHITI

Risponde il fine interlocutore, Mario Giordano, uno dei tanti con incrollabili certezze in tasca, privo di qualsiasi cultura del dubbio; e con la protervia di chi è in sella al cavallo vincente:
Sono convinto che tra quei 220mila ci sono molti giovani preparati, per carità. Ma ci sono anche molti che non superebbero l’esame che lei propone. E soprattutto sono convinto che questo sistema che allunga all’infinito l’attesa di centinaia di migliaia di giovani sia quello che tecnicamente si può definire uno perfetto strumento di selezione dei peggiori. Ci pensi, caro Chiti: chi resta a sognare un posto da professore per anni e anni, fra disagi e graduatorie e risicate supplenze? Solo chi non ha altre prospettive, è evidente. Gli altri, quelli più bravi, quelli dotati di qualche talento e abilità appena possono intraprendono altra strade. Poi ci si stupisce se in cattedra ci vanno persone sbalestrate e impreparate, quelle convinte che gli indiani d’America furono messi nelle “conserve” e che la Russia di Stalin deportò molte persone nei “gulash”.

Questo è un Paese senza futuro. Nel senso che l'arroganza dei temporanei vincitori – non solo sul piano politico, ma culturale ed etico – ha perso definitivamente anche il controllo della decenza e della sobrietà. Giordano liquida in due battute l'aspirazione alla docenza di migliaia di persone sul cui contributo – anche – si è retta la scuola degli ultimi decenni. Non c'è da stupirsi, dal momento che il disprezzo con cui Gelmini definisce la scuola un “ammortizzatore sociale” non può non fare scuola, in questa casta di trasversali grilli parlanti del neoliberismo galoppante.
Il garbato duetto tra chi “se la canta e se la suona” non ha destato alcun tipo di reazione né di interesse tra chi potrebbe – se
non altro come atto di vigilanza democratica e di coscienza civica – spendere una parola sull’attacco a tutto campo e indiscriminato che gli insegnanti stanno subendo; mi riferisco ad intellettuali, editorialisti, nonché – ma qui sarebbe davvero pretendere troppo – alla nostra sedicente “opposizione”.

Ma ha destato la sana indignazione di Alvaro Berardinelli, docente e cittadino:
Mio malgrado, sono costretto a confessarlo: sono un Docente. Dunque un fallito ed un ignorante, secondo l'ineffabile "giornalista" che ha vergato questa illuminata risposta. Mi congratulo con lui per l'assoluta indipendenza di opinione, che tutti conosciamo, nonché per la sua assoluta lontananza dal pregiudizio e dal luogo comune. Vorrei solo precisare quanto segue.
Sono convinto che anche tra i molti servi fedeli del suo padrone ci sono tanti giovani preparati, per carità. Ma ci sono, anche lì, molti che non superebbero l’esame che il signor Nicola Chiti propone. E soprattutto sono convinto che l'attuale assetto del "giornalismo" italiano, che allunga all’infinito l’attesa di centinaia di lacchè, smaniosi di guadagnare bene a danno della verità, sia quello che tecnicamente si può definire un perfetto strumento di selezione dei peggiori. Ci pensi, caro Chiti: chi resta a sognare un posto da "giornalista" per anni e anni, fra disagi e umiliazioni e risicate collaborazioni, facendosi notare per conformismo, disprezzo dell'intelligenza dei lettori, copiatura di veline governative, uso ed abuso dei peggiori cliché da autobus di borgata? Solo chi non ha altre prospettive, è evidente. Gli altri, quelli più bravi, quelli dotati di qualche talento e abilità, appena possono intraprendono altre strade. Magari vanno ad insegnare greco, o latino, o matematica, illudendosi che il Paese dia spazio ai migliori, e non ai leccapiedi da strapazzo. Poi ci si stupisce se in certi giornali-fotocopia ci vanno persone sbalestrate e impreparate, quelle convinte che gli indiani d’America furono messi nelle “conserve” e che la Russia di Stalin deportò molte persone nei “gulash”. Quelle che il "giornalista" di cui sopra, e solo lui, conosce personalmente.
Buona fortuna, Italia
.
Alvaro Belardinelli

Siamo stati mollati, abbandonati al nostro destino e al dileggio dei grilli parlanti di turno, in una lotta incrociata per chi la sa più lunga sul come “raddrizzare” questa banda di debosciati, fannulloni, impreparati, che ormai quasi a tutti fa comodo credere che siamo ontologicamente, proprio in quanto insegnanti. Dobbiamo sostenerci tra di noi: non in quanto categoria.
Ma in quanto donne e uomini che continuano a credere ostinati nel proprio mandato costituzionale e nel rispetto che ciò – quando venga esercitato con la responsabilità, l’impegno e la passione - esige.

Oggi significa essere avanguardia di democrazia. Ontologicamente, appunto.

http://www.pavonerisorse.it/quaderno/bera.htm

Nessun commento: